LONDRA - Si è perso sul più bello, quando è arrivato a Londra. Dopo 60 mila chilometri. Lo ha ritrovato un broker, John Beeston, dalle parti di Barnet, che vagava di notte alla guida del suo risciò motorizzato e arabescato, pieno di foto, dipinto di slogan per promuovere lo spirito olimpico: non riusciva più a capire quale fosse il nord. Per ventiquattro mesi, bucando solo una volta, aveva viaggiato dritto come un fuso, senza gps, rinforzato dall'unica certezza di star facendo (strada facendo) la cosa giusta, anche se la più folle. Chen Guanming è un contadino.
Non era mai uscito dal suo villaggio della provincia di Jiuang. Fino a giugno del 2010. Quando è partito. Sconvolto, positivamente, dall'effetto avuto dai Giochi di Pechino sul suo paese, sulla sua gente, condizionato dal fatto che le sue nipoti gli chiedessero notizie di Michael Phelps e Usain Bolt, decise di dedicarsi al promuovere lo spirito olimpico. A modo suo. Con le proprie forza. Fece le pratiche per i visti. Non immaginava fosse tanto complicato. Gli ci son voluti undici mesi, fra errori e confusioni burocratiche, fra pezzi di carta che non aveva mai visto e firme che non ne aveva mai messe tante in vita sua, per raccogliere i documenti. Non è una storia olimpica la sua. E' una storia deamicisiana, forse dickensiana. Un vagabondaggio in cerca di niente. Quindi di tutto. Un giro attorno al senso delle cose accesso da quella strana fiamma, la fiamma olimpica, che sembra appartenere ormai soltanto agli sponsor. E invece no. Non ancora. L'ardore olimpico colse Chen mentre aveva i piedi nella risaia di famiglia, e solo perché quel giorno, in casa, il televisore era acceso (lì seppe di Phelps). Poi i parenti, i ragazzini, poi quella voglia di andare a Pechino ma ormai, ad agosto inoltrato, in quel già lontano 2008, sembrava davvero troppo tardi. E invece no. Riuscì ad arrivare, voleva riportare a casa qualche souvenir per i ragazzi. Venne notato e i signori della delegazione inglese lo invitarono a Londra: ma senza credere nemmeno per un momento che Chen li avrebbe presi in parola. E poi chissà quanto sarebbe costato. Mise da parte un po' di soldi (aiutato dagli amici) e partì. Chen ha 57 anni: "Ma sono ringiovanito", ha detto mentre si faceva fotografare sotto Notre-Dame. In maggio era anche passato per Roma .
La sua notorietà, lentamente, cresceva. Qualcuno parlava di lui, di quella barbetta bianca e i capelli, altrettanti bianchi, chiusi a coda di cavallo. Un look talmente cinese da sembrare finto. E' passato attraverso 16 paesi. Ha viaggiato per il Vietnam, la Thailandia, il Pakistan, la Turchia, l'Italia. Ha raccontato di essersela vista brutta con un uragano a nord di Bangkok e in Turchia, dove stava per rimanere congelato sotto la neve. Il 6 luglio è sbarcato col traghetto in Gran Bretagna. Faranno il possibile per farlo entrare stasera alle cerimonia di apertura: "Ma non importa. L'importante è essere qui". C'è solo un problema: stavolta pare che Chen non abbia nessuna intenzione di tornare a casa dalla parte da cui è venuto. Sta progettando di andare negli Stati Uniti e in Canada e ridiscendere in Cina dallo stretto di Bering. Se sopravvive ha un idea malsana: "Voglio andare a Rio nel 2016".
Non era mai uscito dal suo villaggio della provincia di Jiuang. Fino a giugno del 2010. Quando è partito. Sconvolto, positivamente, dall'effetto avuto dai Giochi di Pechino sul suo paese, sulla sua gente, condizionato dal fatto che le sue nipoti gli chiedessero notizie di Michael Phelps e Usain Bolt, decise di dedicarsi al promuovere lo spirito olimpico. A modo suo. Con le proprie forza. Fece le pratiche per i visti. Non immaginava fosse tanto complicato. Gli ci son voluti undici mesi, fra errori e confusioni burocratiche, fra pezzi di carta che non aveva mai visto e firme che non ne aveva mai messe tante in vita sua, per raccogliere i documenti. Non è una storia olimpica la sua. E' una storia deamicisiana, forse dickensiana. Un vagabondaggio in cerca di niente. Quindi di tutto. Un giro attorno al senso delle cose accesso da quella strana fiamma, la fiamma olimpica, che sembra appartenere ormai soltanto agli sponsor. E invece no. Non ancora. L'ardore olimpico colse Chen mentre aveva i piedi nella risaia di famiglia, e solo perché quel giorno, in casa, il televisore era acceso (lì seppe di Phelps). Poi i parenti, i ragazzini, poi quella voglia di andare a Pechino ma ormai, ad agosto inoltrato, in quel già lontano 2008, sembrava davvero troppo tardi. E invece no. Riuscì ad arrivare, voleva riportare a casa qualche souvenir per i ragazzi. Venne notato e i signori della delegazione inglese lo invitarono a Londra: ma senza credere nemmeno per un momento che Chen li avrebbe presi in parola. E poi chissà quanto sarebbe costato. Mise da parte un po' di soldi (aiutato dagli amici) e partì. Chen ha 57 anni: "Ma sono ringiovanito", ha detto mentre si faceva fotografare sotto Notre-Dame. In maggio era anche passato per Roma .
La sua notorietà, lentamente, cresceva. Qualcuno parlava di lui, di quella barbetta bianca e i capelli, altrettanti bianchi, chiusi a coda di cavallo. Un look talmente cinese da sembrare finto. E' passato attraverso 16 paesi. Ha viaggiato per il Vietnam, la Thailandia, il Pakistan, la Turchia, l'Italia. Ha raccontato di essersela vista brutta con un uragano a nord di Bangkok e in Turchia, dove stava per rimanere congelato sotto la neve. Il 6 luglio è sbarcato col traghetto in Gran Bretagna. Faranno il possibile per farlo entrare stasera alle cerimonia di apertura: "Ma non importa. L'importante è essere qui". C'è solo un problema: stavolta pare che Chen non abbia nessuna intenzione di tornare a casa dalla parte da cui è venuto. Sta progettando di andare negli Stati Uniti e in Canada e ridiscendere in Cina dallo stretto di Bering. Se sopravvive ha un idea malsana: "Voglio andare a Rio nel 2016".
Fonte: http://www.repubblica.it/speciali/olimpiadi/londra2012/2012/07/27/news/cinese_in_bici-39832494/
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